Chiudi

Altre gare

Super Viviani è d’oro!

Super Viviani è d’oro!

16 Agosto 2016

 – Con questo bel nome da profeta, il profeta di un ciclismo su pista niente affatto estinto come a volte sembra, Elia Viviani vince una medaglia d’oro che all’Italia mancava tra gli uomini da vent’anni, e la vince davvero alla grande. La sua specialità, l’omnium, è una crudele insalata mista di velocità pura e cronometro e si sviluppa nell’arco di due giorni, per un totale di 6 gare. Per trionfare bisogna essere dei fenomeni assoluti per scatto, occhio, resistenza, coraggio e fortuna. Quella che a Viviani era sempre mancata, ai mondiali come alle Olimpiadi (Londra), dove l’azzurro aveva già fallito il podio di un niente. Ma quel niente, stavolta è diventato tutto.

E quante lacrime quando Elia si è avvolto nella bandiera, prima ancora di scendere dalla bici. “Pensavo a questo oro da quattro anni, è stata la gara perfetta, la più importante della mia vita. Ho tante persone da ringraziare, cominciando da Filippo Ganna, il giovane inseguitore campione del mondo che mi ha aiutato a migliorare tanto a cronometro. Dopo avere perduto mondiali e Olimpiadi per mezza ruota, non volevo e non potevo sbagliare. Dopo la caduta ho impiegato un giro per capire in che condizioni fossi, poi ho guardato il tabellone e ho visto che ero ancora primo, così l’adrenalina è andata a mille e ho corso ancora più veloce”.
Viviani era in testa alla classifica dopo 5 prove su 6. Avete presente i vecchi Giochi senza frontiere? Ecco, immaginate una versione pensata da uno psicopatico e avrete l’omnium. Per vincere l’oro bisogna però correre perfettamente soprattutto la sesta prova, che si chiama “corsa a punti” ed è una specie di classica in linea lunga 40 chilometri, con uno sprint ogni due chilometri e mezzo, vale a dire ogni 10 giri di pista. Bisogna dunque vivere e correre in apnea: qualcosa di terribile.
Elia Viviani, veronese, 27 anni spesi quasi tutti in sella, ha accostato con enorme sicurezza la sua ultima gara, la più importante. Ma il totale controllo di se stesso e degli avversari (il britannico Cavendish specialmente, un ex campione del mondo, un drago delle volate in pista e su strada senza distinzioni tra velodromi, Olimpiadi, Giro d’Italia o Tour de France,), quel controllo stava andando a monte per colpa di una caduta nella prima parte della corsa: il coreano Park urta Cavendish che sbatte contro Viviani, a terra finiscono proprio Park (lo porteranno via in barella, con la maschera dell’ossigeno sul volto) e l’azzurro. Per fortuna Viviani riesce a risalire in sella senza nulla di rotto, e il regolamento prevede che non si esca di scena se si riesce a rientrare prima che il gruppo abbia compiuto cinque giri. Cosa che a Viviani, coraggiosissimo, riesce.
Per qualche minuto la sua corsa è frastornata, ma la difficoltà dura poco. Viviani torna quasi subito in controllo totale e capisce che dovrà guardarsi soprattutto dal danese Hansen, campione olimpico in carica, e dal feroce Cavendish. Allora marca quest’ultimo come se tutta la gara fosse l’ultimo chilometro della Milano-Sanremo (classica che tra parentesi il britannico vinse nel 2009) e non lo fa scappare mai. Anzi, da metà corsa in avanti lo batte spesso nelle volate intermedie, e questo permette di accumulare vantaggio: alla fine, 13 punti più di Cavendish che vince l’argento (nel suo destino non c’è proprio l’oro olimpico: a Londra gli sfuggì su strada in una corsa disegnata, metro per metro, solo per lui) e al danese Hansen che si prende il bronzo.
Il trionfo di Elia Viviani dipende da molti fattori. Intanto, dalla capacità di migliorarsi a cronometro, visto che quattro anni fa ai Giochi chiuse i 4 chilometri dell’inseguimento individuale con 11 secondi in più rispetto a Rio, un’enormità. Non c’è dettaglio che l’azzurro non abbia curato per vincere, compresa l’aerodinamica per la scelta del miglior body: i test li ha effettuati addirittura nella galleria del vento del Politecnico di Milano, e anche questo è servito. Ma va soprattutto lodata la scelta antica di Viviani (a proposito, è fidanzato con la ciclista azzurra Elena Cecchini che qui a Rio ha disputato la prova su strada, aiutando Elisa Longo Borghini a prendersi il bronzo), una scelta che in Italia non compie quasi più nessuno. Perché la pista paga poco, anche se Viviani corre per il colosso Sky e questo aiuta. E perché bisogna sacrificare qualcosa se non tutto della carriera su strada, che pure ha dato a Viviani qualche grossa gioia, tipo la tappa di Genova al Giro d’Italia 2015.
Scegliere la pista vuol dire rischiare, più o meno come quando ci si tuffa in picchiata dalla sommità delle curve paraboliche. E il nostro grande pistard avrà fatto ricordare a più di uno spettatore con i capelli brizzolati l’epopea di Antonio Maspes e Sante Gaiardoni, oppure dei mitici Bianchetto e Beghetto sul loro tandem. Cose di tanto tempo fa, però bellissime e lucenti come le cromature di una bici.

By repubblica.it

Condividi